LA FOTOGRAFIA È RESTARE FEDELI A SE STESSI

INTERVISTA A BEATRICE MORICCI

Fucine Collettive: Come sei arrivata alla fotografia? Ricordi il tuo primo scatto?
Beatrice Moricci: Uno dei miei motti preferiti da sempre è “Da cosa nasce cosa”, le mie strade non sono mai così predefinite e calcolate. Ho studiato Interior design all’università e ho scelto “fotografia” per un paio di esami opzionali. In quei corsi ho scoperto la magia del foro stenopeico che mi ha stregata e portata a frequentare dei circoli fotografici nella mia zona per conoscere meglio questo linguaggio. Lì ho incontrato un fotografo di matrimoni che mi ha riconosciuto delle doti e invitata a lavorare con lui. L’amore per la fotografia è sbocciata sul campo, facendola davvero la fotografia, per gli altri, e dopo 2 anni di collaborazione ho deciso che quella sarebbe stata la mia strada: volevo diventare una fotografa e non più una designer.
Ricordo uno dei primi scatti di cui andavo fiera: una donna, alla biennale di Venezia d’estate, che suonava l’arpa in modo gentile e delicato, con la testa china adorna di un cappello fiorito.

F.C.: Da cosa sei ispirata, da dove prendi le idee per un photoshoot?
B.M.: Ho una cultura visuale basata sull’arte moderna e contemporanea, dall’architettura e design alla pittura e fotografia, quello che però sto scoprendo ispirarmi di più è l’osservazione diretta del mondo: dalla natura, che spontaneamente da sé contiene già ogni riferimento estetico e compositivo, all’uomo che è lo spettacolo più interessante e gratuito che ci sia. Dai bambini agli anziani ogni comportamento, movimento nello spazio, gestualità, espressione, diventano stimolo di attrazione per il mio sguardo che poi vado a ricercare naturalmente o riproporre nella mia fotografia. Inoltre, oggigiorno c’è il web che mi permette di aver accesso ad un materiale visivo immenso che uso come ulteriore input.

F.C.: Puoi raccontarci la fotografia più importante della tua carriera o quella a cui tieni di più? Qual’è la sua storia?
B.M.: Credo di non poter essere oggettiva e riuscire a scegliere una singola immagine però ad oggi mi viene in mente una zona collinare in Val d’Orcia, Toscana, dove in stagioni diverse ho scattato immagini che per me sono importanti, di cui ne percepisco un riflesso interiore. Credo che sia il luogo che suggerisca e in qualche modo generi la visione nel fotografo. Esiste una profondità segreta sulle superfici dei luoghi e ognuno possiede uno o più segreti, aspetti nascosti, immagini e realtà invisibili che possono essere svelati forse solo nell’attimo che precede la visione.

F.C.: A quali fotografi ti ispiri e guardi con maggiore interesse?
B.M.: Ce ne sono tantissimi e negli anni cambiano! Ad oggi penso al lavoro dei grandi fotografi come Doisneau, Mapplethorpe, Ritts, Haas, Giacomelli, Blumenfeld, Migliori, Newton, Arbus, Berengo Gardin, Man Ray, Kertész ma seguo con molto interesse anche tanti autori contemporanei e della mia generazione come Arno Minkinnen, Andrea Modica, Giovanni Marrozzini, Francesco Faraci.

F.C.: Qual’è l’aspetto del tuo stile fotografico di cui sei più orgogliosa?
B.M.: Sono felice di aver portato la mia fotografia ad assomigliarmi e non fare come in passato solo la marchetta per la commissione e per il mercato, per la moda del momento. La direzione è quella giusta e mi auguro di continuare a percorrerla nei matrimoni ed iniziare a puntare bene la bussola anche in altri campi fotografici.

F.C.: Hai un progetto fotografico di cui vai più fiera?
B.M.: Ne ho iniziati diversi che raccontano contesti specifici che sento molto vicini ma ancora niente di concluso. Sarò fiera di quelli che mi assomiglieranno di più e saranno più sinceri come il percorso che ho fatto finora con la fotografia di matrimonio

F.C.: Hai un soggetto che preferisci fotografare più di altri?
B.M.: Diverse cose mi ossessionano, intendo dire attraggono il mio sguardo. Tra queste ci sono le mani e la gestualità, i luoghi come sono stati lasciati dalle persone, la natura e le sue similitudini con l’uomo, i riflessi che combinano due soggetti, gli scenari che non hanno tempo apparente. Non so bene perché sono attratta da questi soggetti e credo che la chiave sia non possedere completamente questa motivazione.

F.C.: Qual’è l’aspetto più difficile del tuo lavoro?
B.M.: Spinoza diceva che le catene sono più semplici della libertà, siccome la libertà si porta dietro il peso della responsabilità seppur sia una bellissima vertigine. Ovviamente si può decidere di fare il fotografo restando ancorati a standard e metodo ma se veramente si vuol fare -fotografia- e non -fotografia di- credo che l’ingrediente necessario sia la libertà, il permettersi di essere liberi nelle proprie scelte quindi andare contro ad un sistema di regole. Questa credo essere la cosa più difficile, restare fedeli a se stessi.

F.C.: A parte gli attrezzi del mestiere, cosa non manca mai dentro la tua borsa fotografica?
B.M.: Ho sempre con me il mio coltellino svizzero e un portafortuna regalatomi a Lampedusa, una mini bottiglietta con della sabbia e una barchetta di carta bianca.

F.C.: Preferiresti vedere una tua fotografia esposta in una mostra o stampata in un libro?
B.M.: Dovendo scegliere tra le due preferirei un libro: la mostra è temporanea, se pur il vantaggio sia l’aura intorno a quella fotografia nella sua dimensione e forma, la presenza fisica del fruitore intorno alla fotografia. Il libro è invece un documento-testimone nel tempo, una collezione di immagini ordinata che meglio illustra il lavoro di un autore, un feticcio intenso come oggetto magico.

CONSIGLI DI LETTURA

Anna d’Elia, Fotografia come terapia. Attraverso le immagini di Luigi Ghirri

(Meltemi, 2018)

“Il titolo suggerisce già il concetto di base che questo libro vuol proporre: la terapia, intesa come far pensare maggiormente il fotografo al suo fare fotografico. Attraverso le immagini di Luigi Ghirri questo scritto è come una bussola che ci indica come orientarci nel mondo esterno per riconnetterci col nostro mondo interiore, stimolando l’immaginazione e le potenzialità narrative di ognuno di noi. E’ una lezione sul -guardare- profondamente e attivamente quello che ci circonda. Mi sono emozionata molto quando ho letto che Ghirri un giorno, per rivivere la magia in cui la luce disegna il reale, si recò ad un antica camera ottica vicino Parma: io mi sono innamorata della fotografia grazie a questa magia che mi hanno mostrato.”

Arno Rafael Minkkinen, Minkinnen

(Kehrer Verlag Heidelberg, 2019)

“Arno Rafael Minkinnen è un fotografo americano di origini finlandesi. Il suo lavoro si basa su autoritratti a pellicola, in bianco e nero, del suo corpo nudo in ambienti naturali. Il suo corpo, allo stremo della posa plastica e del pericolo della situazione, diventa materia prima da plasmare sul paesaggio circostante come a lanciare una sfida alla bellezza per capire dove finisce il mondo e inizia l’uomo. Ha dedicato alcune fotografie anche ai suoi figli accostando il suo corpo al loro per celebrare il rapporto di relazione e discendenza. Ogni volta che ammiro le sue fotografie sento una relazione ancora più forte con la natura e il paesaggio e cresce in me la necessità di allargare il mio sguardo ad una contemplazione ancora più profonda.”

Nino Migliori, La materia dei sogni

(Contrasto, 2012)

“Nino Migliori non è solo uno dei fotografi del realismo come la maggior parte della gente lo conosce ma è molto di più. E’ un’artista eclettico, un pensatore, un artigiano, un ricercatore. Lo ammiro molto per la sua capacità di allargare gli orizzonti a più esiti fotografici, tecniche, gesti, linguaggi mantenendo però la stessa necessità espressiva. Leggendo l’indice del libro si vede subito che siamo davanti ad una costellazione ampia e interessante di materiale di studio! Credo sia necessaria la sperimentazione e contaminazione di linguaggi e Migliori per me è un grande ispiratore.”

BIOGRAFIA

“Si va in giro per piccole storie, incerte mete, intimità provvisorie”
Questa poesia di Franco Arminio credo che racconti il mio approccio alla fotografia, in particolar modo alla fotografia di matrimonio che pratico oggi.
Dallo studio delle lingue, alla laurea in design, all’autoproduzione di oggetti partendo da materiali di riuso, alla fotografia di matrimonio. Poi ci sono le macchine da scrivere, le suore, le altalene, gli orologi rotti, i mercatini dell’usato, i viaggi e i cammini. Da nove anni fotografo le coppie, un giorno della loro storia d’amore, i luoghi che hanno scelto, le persone che le accompagnano, le loro relazioni, i momenti che si creano, le emozioni, le cose che accadono. Cerco con la fotografia di documentare gli eventi, e raccontare me stessa.

www.beatricemoricci.com

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